Pirandello e i "Giganti della Montagna"

Oggi Polymetis vorrebbe presentarvi un Pirandello simbolico, quello del “Teatro dei Miti”, trilogia composta da “La colonia penale”, “Lazzaro” e appunto “I Giganti della montagna”. 

Pirandello iniziò a scrivere quest’ultima opera nel 1933, in pieno potere fascista. L’opera rimase però incompiuta e ne furono pubblicati solo degli stralci: il figlio Stefano tentò una ricostruzione del secondo atto a partire dagli appunti del padre, ma si tratta di una mera ricostruzione, dunque non è affatto certa. Nei suoi appunti Pirandello scrive che l’olivo saraceno era la chiave di volta per comprendere l’opera, ma questo punto non è mai stato del tutto chiarito. 

Andiamo alla trama. Un gruppo di disadattati trova rifugio in una villa chiamata “La Scalogna”, nome parlante che richiama la contrada di Agrigento dove nacque Pirandello, Caos. Lì incontrano un gruppo di attori denominato “La compagnia della Contessa”, chiamata così perché guidata da una contessa. La capocomica, su consiglio di un mago, decide di rappresentare la “Favola del figlio cambiato”, dramma dello stesso Pirandello, davanti a degli esseri molto potenti che vivono sulle montagne chiamati I Giganti. 

Il primo atto si conclude qui. 

Nella ricostruzione di Stefano Pirandello, fatta tramite gli appunti del padre, i cosiddetti giganti sono esseri mostruosi e barbarici, che si nutrono di carne umana. La compagnia rappresenta, dunque, il dramma pirandelliano davanti ai giganti, che però si cibano di loro con estrema violenza. 

Se fosse così, il dramma alluderebbe a due cose: in primo luogo, al rapporto arte e potere, dove i Giganti sarebbero una rappresentazione simbolica dei fascisti, esseri violenti e pulsionali, così come descritti dall’autore. Ma c’è una seconda interpretazione, forse più inquietante della prima: i giganti sarebbero il pubblico, composto da gente che non sa più apprezzare l’arte, ma che, anzi, fagocita l’artista considerandolo inutile e addirittura dannoso per la società. 

Se il secondo atto è stato ricostruito correttamente, emerge un pessimismo riguardo al rapporto tra arte e società che suona profetico: in fondo, ci sono cose molto più utili da fare che dipingere, fare teatro o scrivere poesie, o sbaglio io?

 

Eleonora Federici