Natura o cultura?

Una volta parlai con un noto scrittore italiano contemporaneo, il quale mi disse che il suo schieramento politico era cultura, mentre quello opposto natura; ma cosa intendeva di preciso?

Spesso i militanti politici sono soliti dipingere i propri avversari come dei “mostri”: in tal caso, l’autore definiva gli aderenti allo schieramento opposto al suo come dei trogloditi con ancora le clave in mano.

Eppure, lungi da me fare discorsi troppo politicizzati, esiste una lunga tradizione di filosofia politica che si interroga innanzitutto sulla natura umana e sul perché essa abbia bisogno di forme di governo: Aristotele stesso diceva che l’uomo è un animale politico e, di conseguenza, è portato a costituirsi in realtà politiche, siano esse oligarchiche, democratiche (nel senso greco ovviamente) o tiranniche come in alcune città della Grecia Antica.

Ma Aristotele aveva dimenticato un tassello fondamentale: cosa porta l’uomo a essere un animale politico?

Tra il XVII e il XVIII secolo furono date tre risposte differenti sulla natura umana, politica e non: il filosofo britannico Thomas Hobbes sosteneva, per esempio, l’intrinseca malvagità dell’uomo e, per tale motivo, era necessario che vi fosse un solo uomo al potere per poter governare le masse pronte a scannarsi. Secoli più tardi Hannah Arendt, in un capitolo della sua monumentale opera Le origini del totalitarismo, definirà Hobbes come il filosofo della borghesia, la quale rappresentò la principale base elettorale del Fascismo e del Nazismo.

Di diverso avviso era il britannico John Locke, fautore di una democrazia parlamentare e della bontà intrinseca dell’uomo, mentre il filosofo ginevrino Jean Jaques Rousseau fu ancora più radicale: convinto fautore della democrazia diretta di stampo greco e della bontà di ogni uomo (il “mito del buon selvaggio”, tanto caro all’Illuminismo è una sua creazione alquanto colonialista), Rousseau si occupò anche di pedagogia, scrivendo il trattato Emilio, in cui dimostra che solo la natura e le istituzioni possono prendersi cura di un fanciullo, tanto che si dice che abbandonò i propri figli in un orfanotrofio, essendo fermamente convinto che l’educazione migliore fosse quella impartita dallo stato.

Finora ci si è occupati solo della natura umana, che porta al costituirsi di forme di governo, ma mai delle istituzioni: Hegel non poteva tradire il suo assunto “ciò che è reale è razionale”, di conseguenza, forse influenzato dal Positivismo diffuso all’epoca in campo scientifico, arrivò a dire che lo spirito razionale dell’uomo si manifesta in una progressione di forme di governo sempre più evolute. Bastò un secolo per smentire la teoria politica hegeliana: Nazismo, Stalinismo e Fascismo (definito dalla Arendt come “totalitarismo imperfetto”) presero piede in Germania, Russia e Italia. In cosa consistevano? In un regime dittatoriale a partito unico, con un leader carismatico a capo del partito e con forme di inquadramento, indottrinamento e, addirittura, controllo della popolazione.

Una qualsiasi persona, ragionando sui totalitarismi, avrebbe dubbi sulla natura umana in generale: la stessa Hannah Arendt fece notare all’opinione pubblica che Adolf Eichmann, gerarca nazista protagonista di un processo a Gerusalemme, si limitava semplicemente a eseguire gli ordini dei suoi superiori, come se fosse una macchina.

Vorrei concludere facendo notare che, riprendendo i concetti espressi a inizio articolo, è molto meglio essere “natura” o “cultura” piuttosto che degli automi che obbediscono a degli ordini: di qualsiasi schieramento politico siate, vi invito a fare vostra la “rivolta metafisica” espressa da Albert Camus ne L’uomo in rivolta, poiché voi siete esseri pensanti, animali politici, e non schiavi di un sistema.

 

Larissa Gaudi