Marco Terenzio Varrone, il dotto insuperabile della Roma antica
Chi ha percorso gli studi umanisti sa bene quanto questi siano difficili, ma allo stesso tempo poliedrici. Risulta dunque assai arduo trattare ogni autore fin nel minino dettaglio, è questa la ragione per cui mi accingo a parlare di Varrone, si noti bene non il Varrone della corrente dei Neoteroi, ma un suo omonimo, che persino San Girolamo ha definito il più colto mai nato. Durante la carriera liceale viene affrontato celermente, temporis causa, ma ritengo sia giusto scoprire qualcosa di più riguardo questo dotto uomo dal momento che pure San Girolamo lo loda enormemente. Marco Terenzio Varrone nasce a Rieti nel 116 A.C. da una ricca famiglia di proprietari terrieri, grazie alla quale riesce ad avere un’eccellente educazione. Dopo aver appunto terminato gli studi brillantemente decide di intraprendere la carriera politica e militare aderendo al partito oligarchico: diviene questore, tribuno della plebe e pretore. Infine decide, senza remore, di appoggiare e sostenere Pompeo fino alla disfatta di Farsalo, a seguito della quale comunque riesce ad ottenere il perdono di Cesare. Quest’ultimo, colpito dal carisma e dall’erudizione di Varrone, gli affida il prestigioso incarico della costituzione della prima biblioteca pubblica di Roma. Sfortunatamente la morte di Cesare e la successiva guerra civile non permettono la realizzazione di questo progetto. Ciononostante Varrone, che in precedenza era stato inserito nelle liste di proscrizione sia di Antonio che di Ottaviano, sopravvive a tutti questi eventi storici così determinanti venendo graziato, però l’autore decide di ritirarsi a vita privata dedicandosi interamente agli studi. La morte lo porta via con sé nel 27 A.C. Studioso infaticabile Varrone si occupa durante il corso della sua vita di svariate discipline dalla letteratura fino alla retorica.
“De re rustica”: il Rerum Rusticarum libri è la sua più celebre opera composta attorno al 37 A.C., scritta in forma di dialogo, ed articolata in tre libri. Il primo libro è dedicato alla moglie Fundania, la quale aveva acquistato una proprietà terriera, e tratta della fattoria, della coltivazione della terra e degli strumenti di lavoro. Il secondo libro è dedicato a Turranino Nigro, un caro amico, ed ha come oggetto l’allevamento del bestiame, nel terzo libro invece, dedicato ad un altro amico Quinto Pinnio, si disquisisce riguardo all’allevamento nelle grandi ville degli animali da cortile e di altre specie pregiate. Il destinatario del corpus risultano essere non i piccoli proprietari terrieri, ma i grandi latifondisti, i quali posseggono immense coltivazioni ed allevamenti. La forma dell’opera è per l’appunto un dialogo e ci fa intendere che l’autore coltivasse una certa ambizione letteraria visto che si possono riscontrare una certa briosità ed allo stesso tempo spigliatezza, quando però non prevale l’enorme erudizione. Infine lo stile è semplice, poco elegante, ma condensato di termini tecnici, arcaici di derivazione greca.