Cicerone, il principe del foro

Quando pensiamo alla letteratura latina e ai suoi capolavori è impossibile che nella mente non baleni l’immagine o qualche frase di Marco Tullio Cicerone, questo perché è il più grande esponente dell’oratoria romana e la figura più rappresentativa della letteratura in questione. Grazie a Cicerone difatti la lingua latina raggiunge il più alto gradino sia dell’evoluzione sia dell’espressione, ne sono testimoni l’enorme mole delle sue opere che spazia dalle orazioni ai trattati filosofici, retorici e politici. Marco Tullio Cicerone nasce ad Arpino nel 106 A.C. da genitori appartenenti all’ordine equestre. La sua formazione avviene a Roma insieme al fratello nelle migliori scuole di grammatica e retorica. Il suo esordio sulla scena forense avviene a 25 anni in seguito a un dibattito di diritto privato. Nel 79 A.C si allontana da Roma per un viaggio di studi ad Atene e Rodi. Nel 77 A.C torna a Roma e sposa Terenzia dalla quale avrà due figli, ed inizia il cursus honorum come questore in Sicilia. Lì cinque anni dopo difende i cittadini siciliani contro Verre, il quale aveva compiuto molte violenze ed in particolare si era macchiato di concussione. Con “Le Verrine” Cicerone raggiunge la sua maturità oratoria e allo stesso tempo la sua popolarità aumenta a vista d’occhio. Non è un caso che dal 66 al 69 A.C rivestirà sia le cariche di edile sia di pretore, per arrivare poi al 63 A.C quando sarà insignito della carica di console, realizzando così il sogno di una vita. La candidatura di Cicerone era stata sponsorizzata sia dai patrizi sia da cavalieri i cui interessi l’oratore di Arpino si era preso a carico con un programma assai lungimirante, che mirava alla concordia ordinum. La fama politica di Cicerone è dovuta al suo importantissimo intervento volto a debellare la pericolosissima congiura di Catilina, nobile decaduto, il quale mirava ad abbattere la res publicae ed instaurare una nuova forma di governo dando più potere ai ceti meno abbienti. Cicerone riesce a pronunciare in breve tempo ben quattro orazioni contro Catilina, le celeberrime “Catilinarie” in cui informa il popolo dei possibili pericoli fornendo le adeguate prove dando inizio così alla repressione della congiura. Questo atto lo porta all’apice della gloria tanto da essere chiamato padre della patria. Negli anni successivi però Cicerone si trova costretto a fronteggiare un’irreversibile crisi della repubblica, ma soprattutto l’affermazione di Cesare e con lui le sue brame di potere. Dopo aver subito un esilio proprio a causa di Cesare, Cicerone nel 55 A.C torna a Roma e si schiera dalla parte di Pompeo, il quale sembrerebbe essersi fatto carico della protezione della repubblica. La guerra civile ben presto infuria a Roma e alla sua fine è proprio Cesare a trionfare e a Cicerone non resta che si ingraziarsi il nuovo padrone, ma allo stesso tempo abbandonare la scena politica e dedicarsi agli studi filosofici ovvero all’otium cum dignitate. In questo periodo darà alla luce opere magistrali del calibro delle “Tusculanae Disputationes”. Morto Cesare a seguito di una congiura Cicerone si schiera subito con il nipote di quest’ultimo Ottaviano, nella vana speranza di poter vedere riaffermata l’autorità della res publicae, ma questa scelta gli risulterà fatale dal momento che si inimicherà Marco Antonio, visto da Cicerone come un despota, con le sue “Filippiche”, un vero e proprio atto d’accusa contro Marco Antonio appunto. Antonio lo farà condannare a morte nel 43 A.C decapitandolo.

“De re publica”: Cicerone ha scritto una mole immensa di opere di un valore inestimabile, tuttavia se si vuole comprendere l’uomo e le sue scelte, che egli portò avanti con estrema coerenza e forza per tutta la vita l’opera che ne è il massimo esempio è senza ombra di dubbio il “De re publica”. Scritto a cavallo tra il 54 ed il 52 A.C è un dialogo in 6 libri, che si immagina avvenga nel 129 A.C nella villa di Scipione l’Emiliano. Nel I libro Cicerone illustra la teoria delle fondamentali forme di governo ovvero monarchia, aristocrazia e democrazia, con annesse degenerazioni quali tirannide, oligarchia e oclocrazia. Di tutto questo però lo stato romano è completamente immune dal momento che coesistono, secondo Cicerone, in totale armonia le tre forme basilari di governo rappresentate efficacemente dal consolato, dal senato e dai comizi popolari. Nei libri successivi, sfortunatamente giunti incompleti, l’autore affronta lo sviluppo della costituzione romana, della giustizia e della figura del princeps ideale. Infine nella sezione conclusiva Scipione l’Africano appare in sogno al suo discendente l’Emiliano e gli illustra il destino d’immortalità che attende i giusti e benemeriti della patria.