Appunti linguistico – teologici: Il Prologo del “Vangelo secondo Giovanni”
“In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.”
Questo è l’incipit del celebre Prologo del “Vangelo secondo Giovanni”, forse il più misterioso e il più complesso tra i quattro Vangeli canonici. Lo scritto si divide in due parti: il “Vangelo dei segni”, in cui Gesù compie sette segni miracolosi che anticipano la Sua morte e Resurrezione, e il “Vangelo dell’Ora”, in cui viene raccontata la Passione di Cristo.
Già di per sé questo Vangelo non si presenta come lineare, ma addirittura è stato soggetto a un errore di traduzione che perdura fino ai giorni nostri.
Quando il Padre della Chiesa Gerolamo traduce il Prologo di Giovanni, utilizza la parola “Verbum” per il greco “Logos”.
In realtà, i due termini non si sovrappongono: il sostantivo greco “logos”, deverbativo del verbo “lego”, che vuol dire proprio “dire” e si differenza da altri verbi con lo stesso significato, come ad esempio, “femì”, che anticamente apparteneva alla sfera religiosa.
“Lego”, infatti, significa un dire specifico, ossia razionale e argomentabile e, di conseguenza, il “logos” non è altro che il discorso razionale di cui si ha padronanza.
Ora, occorre chiedersi perché l’evangelista Giovanni utilizzi proprio questo termine.
Bisogna ricordare che, fin dai tempi di Eraclito, il “logos” apparteneva al lessico tecnico della filosofia pagana, almeno fino allo Stoicismo, tanto che si dice che il Prologo di Giovanni sia il primo tentativo di dare uno statuto filosofico al Cristianesimo.
Eppure, l’Evangelista non è un autore che lascia nulla al caso: vi è infatti un richiamo al primo capitolo della “Genesi”, in cui Dio crea tutte le cose semplicemente pronunciando delle parole. Occorre inoltre ricordare che, nella mentalità ebraica, il linguaggio era un qualcosa di molto concreto: infatti, il sostantivo utilizzato per indicare la “parola” e il “fatto” era il medesimo.
Che Giovanni, tramite l’utilizzo del sostantivo “Logos” riferito a Cristo volesse sottolineare la Sua perfezione e la Sua profonda razionalità?
Le suggestioni possono essere molte, ma vi è un fatto impossibile da ignorare: quando Gerolamo traduce “logos” con “verbum”, l’intento iniziale dell’evangelista Giovanni viene improvvisamente a mancare; certo, qualche nuova traduzione biblica cerca di riparare il danno utilizzando il sostantivo “Parola”, ma ormai il circolo ermeneutico che portava i cristiani di lingua greca a comprendere cosa intendesse realmente dire l’Evangelista Giovanni si è rotto per sempre.
Eleonora Federici